Costruire la sinistra nell’opposizione costituente

La sconfitta de “La Sinistra L’Arcobaleno”, e delle forze politiche della sinistra nel nostro paese, è netta e inequivocabile. La situazione che ci viene consegnata da questa tornata elettorale è inedita: della sinistra è cancellata la rappresentanza parlamentare, è seriamente messo in discussione l’insediamento sociale, ne sono disorientati gli uomini e le donne, gli attivisti e i militanti. Ogni prospettiva politica necessita quindi di una profonda riflessione e assunzione di responsabilità: da un lato è necessario comprendere le ragioni della sconfitta, dall’altro invece è indispensabile indagare i mutamenti profondi del quadro politico e delle forme della politica in questo paese.
Quello che esce dalle urne è infatti un paese profondamente mutato: l’assetto parlamentare non può non essere frutto di un vero e proprio smottamento sociale, di uno slittamento a destra che ha accompagnato le politiche neoliberiste degli ultimi decenni e la conseguente riduzione della politica a tecnica amministrativa e di governo. Il successo della politica della individualizzazione, della paura, del corporativismo, della competizione sociale è strabordante, e sommato alle nostre mancanze, riduce al 3,2% ‘La Sinistra L’Arcobaleno’ e consegna la sconfitta al Pd di Veltroni. Ciò che ora sentiamo con più forza è la consapevolezza della drammatica insufficienza delle pratiche e dei tentativi che negli ultimi anni abbiamo portato avanti per preservare un nesso fra sociale e politico. Dove questo nesso continua a vivere nell’elaborazione aperta e non identitaria, come ad esempio nell’esperienza sociale di Action e dei municipi romani, rimane aperto lo spiraglio per la ricostruzione del significato della parola ‘sinistra’. Nel frattempo il paese scopre che molti degli operai sindacalizzati del nord hanno votato per la Lega: è lo stesso paese che li ha ignorati quando con la cieca politica economica del governo Prodi ogni redistribuzione è stata negata, ogni possibilità di politiche d’alternativa cancellata a priori. In un deserto di prospettiva così eclatante ciò che travolge la dimensione collettiva e politica del corpo sociale è la chiusura nella dimensione territoriale, la scorciatoia della competizione violenta contro ogni diversità, il giustizialismo, la sfiducia nella politica come motore del cambiamento. In particolare su quel nord, che oggi si sente rappresentato e tutelato dalla Lega, e a cui la sinistra tutta e Rifondazione Comunista riesce sempre meno a parlare, va aperta anche nella nostra organizzazione una discussione in grado di articolare analisi e proposta adeguate.
Di questo La Sinistra L’Arcobaleno, e Rifondazione Comunista, hanno pagato lo scotto e probabilmente ne hanno sottovalutato la potenza e la spirale: l’inefficacia della sinistra al governo si tramuta immediatamente nella sua riduzione a pura rappresentazione, nel peggiore dei casi identitaria, che mima e contemporaneamente dimentica l’intrapresa materiale di percorsi di liberazione collettivi. Di certo possiamo ammettere con chiarezza di esserci sbagliati quando abbiamo affermato che la coalizione di centro-sinistra poteva essere permeabile alle spinte dei poderosi movimenti del ciclo precedente: a questo nostro progetto è stato sostituito quello dell’ imposizione dall’alto di un quadro bipartitista, come uscita dalla transizione italiana aperta all’inizio degli anni ’90, con al centro la nascita del Partito Democratico. Per questa via, con l’esito delle elezioni, anche la sovranità, la forma partito
novecentesca, il significato del ‘fare politica’, il rapporto tra esecutivo e parlamento, la grande questione della rappresentanza: tutto è oggi diverso e mutato, frammentato, ridotto a rivolo nel grande fiume di una campagna elettorale che ha segnato un passaggio profondo, storico e di senso.
In questa temperie una parte delle nostre responsabilità va riconosciuta nell’insufficienza del nostro progetto di trasformazione: un’insufficienza teorica e pratica che oggi impone a tutti l’apertura di un grande dibattito nel paese, nei partiti, nelle organizzazioni sociali, nei tanti territori e movimenti che della sinistra alternativa sono e continueranno ad essere l’ossatura. Le responsabilità del gruppo dirigente del partito sono grandi e vanno giustamente riconosciute a tutto campo nella loro dimensione collettiva: nei ruoli di direzione nel partito, in
quelli nel governo e nel parlamento. Il congresso di Rifondazione Comunista, che giustamente è stato immediatamente convocato, deve essere uno dei tanti luoghi dove questo dibattito potrà vivere, anche alimentandosi di ciò che intorno e fuori di noi continua a proporci punti di vista, sperimentazioni ed esperienze significative. Il profondo rinnovamento dei gruppi dirigenti, non solo su base generazionale ma soprattutto a partire dalla pluralità dei percorsi, e la loro composizione nel congresso con processi decisionali chiari, democratici e partecipati, come le liste aperte, che potrebbero rompere ogni meccanismo di cooptazione, è un patrimonio da cui ripartire, importante per l’intera sinistra italiana. La critica del potere deve essere agita anche al nostro interno, al fine di rompere l’autoreferenzialità e separatezza dei gruppi dirigenti, che rischia di rendere impossibile recuperare la capacità del partito di avere una reale rappresentanza sociale, come dimostrato dal risultato elettorale. Anche il congresso che abbiamo di fronte lascia perplessi, tra di noi e nella sinistra diffusa, con le modalità e l’esito che sono stati impostati nell’ultimo cpn, nella misura in cui rischia il confronto politico rischia di divenire secondario rispetto allo scontro fra gruppi dirigenti. Per questo motivo ci sentiamo di auspicare un maggiore sforzo di unitarietà nella costruzione del congresso, non tanto e solo sulle forme, ma invece a partire da un reale dibatto sui contenuti e gli esiti, di cui chiediamo la massima chiarezza. Allo stesso tempo lavoriamo perché vengano avanzate proposte di radicale riforma degli organismi dirigenti al fine di facilitare la partecipazione di tutti i compagni e le compagne alla formazione delle decisioni, così come chiediamo che sia possibile emendare dal basso e dai territori le mozioni congressuali, senza legare gli emendamenti alla rappresentanza congressuale.
Eppure nel rivedere nel congresso tutti i passi che fin qui abbiamo compiuto, gli errori e le scelte invece giuste, ciò che non siamo disposti a perdere è il bagaglio di cultura politica che abbiamo costruito da Genova 2001 fino allo scorso congresso di Venezia. La cessione di sovranità, la critica del potere, la contaminazione con i movimenti, la sperimentazione di pratiche orizzontali, il ‘fare società’, tutto ciò che ha sempre permesso ai Giovani Comunisti, e anche alla stessa Rifondazione, di non rinchiudersi in nessun recinto ideologico, di non pensarsi anacronisticamente come luogo della sola sintesi possibile, e di essere quindi una soggettività aperta e innervata di politica vissuta.
Ripartire dai Giovani Comunisti è quindi per noi fondamentale, perché pensiamo la nostra cultura e pratica politica importante per delineare il profilo della sinistra che verrà. Profilo che è sicuramente mancato a ‘La Sinistra L’Arcobaleno’, fin dalle modalità della sua costruzione: ogni ipotesi federativa e di partito unico, che quindi ha come presupposto principale la confluenza di diversi partiti, è per noi superata dallo stato dei fatti, dall’indisponibilità di molte delle altre forze politiche organizzate, a mettersi in discussione e partecipare ad un percorso innovativo di riforma delle politica.
Oggi quello che è in gioco è però non solo la rappresentanza politica della sinistra ma la sua ragione d’essere, il suo significato profondo, iscritto nella possibilità reale di cambiare il mondo. E’ a partire da qui che guardiamo alla rimessa in campo della nostra soggettività politica: la sinistra italiana deve rinascere e disegnare il suo profilo nella costruzione dell’opposizione alle politiche di una destra sempre più regressiva, autoritaria e populista. Le condizioni in cui nell’opposizione dobbiamo cercare di rigenerare il nesso, ormai scisso, tra sociale e politico non sono semplici: le soggettività che agiranno nel quadro di opposizione al governo Berlusconi saranno molteplici, come il sindacato ma anche il movimento di Beppe Grillo. Rimettere la nostra soggettività al centro della costruzione del corpo sociale della sinistra non è scontato, necessita di grande capacità di proposta, apertura e relazione, soprattutto di una riflessione sicuramente più pregnante sui soggetti della trasformazione. Eppure decidiamo di accettare la sfida: l’opposizione deve essere in questo senso costituente, una costituente dello spazio pubblico d’alternativa, unico luogo in cui pensiamo debba nascere un soggetto della sinistra in Italia. Intendiamo l’apertura non solo sul versante immediatamente identitario, ma sul metodo: non solo per i contenuti e i valori che si promuovono ma anche per le modalità relazionali con cui questi valori dovranno confrontarsi in una cultura dominante molto distante dalla nostra.
Rifondazione Comunista è e dovrà necessariamente essere uno dei protagonisti principali di questo percorso. Tuttavia, proprio a partire dall’analisi e dall’innovazione che abbiamo prodotto da Genova in poi, innanzitutto grazie alla nostra internità ai movimenti, continuiamo ad essere convinti, non solo dell’insufficienza del nostro partito, ma anche della necessità di una sua trasformazione, che lo renda adeguato ad affrontare le sfide poste dal tempo presente.
Abbiamo ancora l’ambizione di costruire un progetto della sinistra che non nasca semplicemente sull’accordo tra gruppi dirigenti e strutture organizzate, ma che si fondi invece sulla libera partecipazione dei singoli e delle singole ad un processo costituente, e che abbia la sua centralità nel territorio e nell’analisi e nella conoscenza delle profonde trasformazioni che lo hanno attraversato, che subordini anche temporalmente il livello nazionale alla nascita dei tanti processi costituenti territoriali. Un soggetto politico della sinistra che, a partire dai territori e da un nuovo mutualismo, sia in grado di essere esso stesso promotore ed organizzatore di nuovi legami e conflitti sociali, e di costruire, qui ed ora, l’alternativa al modello di sviluppo dominante. Uno dei nostri errori è stato infatti quello di non aver aperto processi costituenti dentro il ciclo ascendente dei movimenti ma di fatto tardivamente e dall’alto come accordo di mediazione politica fra gruppi dirigenti. Anche per questo oggi sappiamo che il nuovo soggetto dell’alternativa non può che nascere dalla materialità delle condizioni dei soggetti sociali e dei suoi conflitti. Per farlo abbiamo bisogno degli strumenti per interpretare il capitalismo attuale e contemporaneamente di non limitarci alla semplice utilità della nostra azione a soggetti che agiscono socialmente, fuori e separatamente da noi. Senza tutto questo, il rischio più immediato che abbiamo di fronte è quello di divenire un soggetto minoritario, non solo nella società, ma anche all’interno dei movimenti di opposizione al governo, alle politiche e alle culture delle destre.
Avviamo quindi una ricerca da far vivere in spazi pubblici di discussione e di iniziativa politica, fuori e dentro l’organizzazione, nelle decine di “network giovani” territoriali, nelle tante case della sinistra che abbiamo autogestito in questa campagna elettorale. Proponiamo di tentare la costruzione di un’assemblea nazionale, connotata socialmente e generazionalmente, di tutte le soggettività che insieme a noi da anni ragionano sulla crisi della sinistra a partire dall’attivismo sociale, dalla liberazione di spazi, dalla costruzioni di reti.
Una ricerca che deve necessariamente coinvolgere e dare voce e protagonismo decisionale a tutti quei soggetti sociali (dai lavoratori stabili e precari, ai migranti, agli studenti, alle donne, come a tutti coloro che hanno costruito e attraversato il movimento glbtq e i movimenti per i diritti civili), che troppo spesso evochiamo nelle nostre analisi, senza riuscire a costruire con essi ambiti collettivi permanenti.
Una ricerca che non può essere separata dall’attualità politica e sociale di questo paese governato saldamente dalle destre, forti come non mai di un consenso popolare cresciuto anche sulle ceneri della sinistra, della sua inadeguatezza a rispondere alla quotidiana paura e precarietà delle esistenze.Non vogliamo perdere un minuto di più per costruire un’opposizione sociale costituente della nuova sinistra. Opposizione che indica senza tentennamenti la strada del conflitto e quella della contaminazione, quella dell’innovazione delle forme organizzate della politica e quella del radicamento sociale. Per farlo è nostra intenzione praticare l’autonomia dei e delle Giovani Comunisti/e, non nel senso della separatezza dal partito, ma invece nel suo vero significato, quello della capacità di autodeterminare la tua agenda, le tue forme e priorità e attraversando il congresso da protagonisti e non da spettatori, facendo vivere nelle scelte e nel confronto questa nostra posizione condivisa e autonoma.

Giovani Comuniste/i
Esecutivo Nazionale